EX Filanda

Fino a metà del secolo scorso, Illasi ospitava una filanda della famiglia Perbellini, che dava lavoro a circa cento persone. Le donne si occupavano dell'allevamento dei bachi da seta e della filatura. Oggi, la filanda è diventata un condominio.

Descrizione

ITALIANO English Deutsch Français Español

La filanda di Illasi (1873-1931): un viaggio nella storia della seta veronese

Fino a metà del secolo scorso, Illasi, un comune agricolo con poche attività industriali legate prevalentemente all'agricoltura, ospitava una grande filanda di proprietà della famiglia Perbellini. Questa realtà, situata sul torrente Prognolo, dava lavoro a circa un centinaio di persone, oltre a molte famiglie che allevavano bachi da seta a livello domestico. Questo lavoro era quasi esclusivamente femminile; le donne nutrivano i bachi con foglie di gelso, raccolte dai ragazzi, e coltivavano i bachi in casa su graticci. Dopo circa quaranta giorni, si formavano i bozzoli. Le donne utilizzavano un attrezzo, la "spelarina", per rimuovere la parte esterna dei bozzoli bianchi, più pregiati, portandoli in filanda per ricevere un compenso. Qui, il lavoro era per lo più femminile, con ragazze divise tra la preparazione dei bozzoli e la filatura della seta. Negli anni '50 del XX secolo, l'allevamento dei bachi è diminuito, e oggi la filanda è stata trasformata in un moderno condominio, ma la sua struttura e ciminiera ricordano il lavoro di un tempo.

Le radici della filanda: i fratelli Perbellini
Nel cuore della vallata d’Illasi, immersa in un paesaggio segnato da uliveti e vigneti, sorgeva un tempo una delle più importanti realtà industriali del territorio: la Filanda di Illasi.
Qui, attraverso un processo tanto affascinante quanto faticoso, venivano trasformati i bozzoli del baco da seta in filo grezzo (ogni bozzolo, con la sua delicata struttura, poteva generare fino a 8-9 metri di seta).
Fondata nel 1873, nel pieno sviluppo del settore serico veneto, la filanda fu una vera e propria novità in un contesto ancora profondamente legato all’agricoltura. Tuttavia, l’attività serica si intrecciava con il ciclo agricolo poiché nei mesi primaverili, le famiglie contadine allevavano i bachi da seta in casa per poi conferire i bozzoli alla filanda, e questo per le famiglie costituiva una piccola risorsa economica.
Un impianto costruito in una posizione strategica, vicino ai corsi d’acqua come il Prognolo (= un ramo del Progno, il torrente principale della vallata), che ancora oggi dà il nome alla via in cui sorgeva lo stabilimento.
A dare vita a questo progetto industriale furono Eugenio e Giacomo Perbellini, imprenditori veronesi che acquistarono e ampliarono un’abitazione settecentesca proprio per realizzare l’opificio. Fondamentale fu l’intervento del fratello, Don Luigi Perbellini, parroco di Illasi, che con lungimiranza e profondo spirito comunitario promosse la nascita della filanda per offrire nuove opportunità lavorative al territorio.
Oltre all’edificio principale, vennero realizzate delle case destinate alle operaie, molte delle quali arrivavano anche da fuori regione, come l’area di Cremona. Ancora oggi è possibile ammirare la struttura a schiera originale di questi alloggi, semplicemente passeggiando per via Domegiano.

La dura vita in filanda
Lavorare in filanda significava affrontare condizioni durissime, soprattutto per le giovani donne – molte tra i 12 e i 17 anni – che costituivano la maggioranza della forza lavoro.
Le condizioni lavorative si caratterizzano, oltre che per i bassi salari, per una situazione igienica piuttosto scadente e per estenuanti orari di lavoro. Le giornate di lavoro duravano spesso 10-12 ore e si svolgevano in ambienti caldi e umidi, tra il rumore assordante dei macchinari e l’odore pungente del “freschino”, sempre con mani screpolate e immerse in acqua bollente.
Le mansioni erano ripetitive e il lavoro monotono: si doveva seguire la seta mentre veniva filata, fare attenzione che non si spezzasse il filo e riparare eventuali guasti. Per far passare il tempo si cantava o pregava.
Nell’arco della giornata lavorativa la pausa era una sola, la pausa pranzo dalle 12 alle 13, e non era raro che qualcuna svenisse per la stanchezza o il caldo intenso vicino ai macchinari.
La pressione era costante e il padrone visitava lo stabilimento almeno una volta al giorno per verificare l’andamento del lavoro, mentre la padrona, seduta a metà sala con l’uncinetto tra le mani, controllava in silenzio, con una presenza discreta ma vigile.
Nel 1921-22, in un contesto ancora privo di reali tutele, le operaie della Filanda di Illasi ebbero il coraggio di organizzare uno sciopero per protestare contro i ritmi di lavoro estenuanti. Fu un gesto audace, che anticipò di anni l’arrivo delle prime leggi italiane in difesa dei diritti dei lavoratori.
E anche se, con l’inizio del novecento, i controlli degli ispettori del lavoro iniziavano a farsi presenti (segno di un sistema che stava lentamente cambiando) ogni errore veniva punito, non solo dai superiori ma anche dalle colleghe più esperte, le filere, responsabili della qualità del lavoro che non esitavano a punire gli errori delle più giovani con una secchiata d’acqua calda in faccia. Inoltre, se una lavorante arrivava in ritardo, tutte le altre erano costrette a compensare il tempo perso.
Nonostante i salari modesti, la filanda rappresentava per molte donne una delle poche fonti di reddito stabile e, seppur duramente conquistata, un’opportunità di emancipazione economica. Anche i bambini, spesso figli delle stesse lavoranti, venivano impiegati per pulire i macchinari, infilarsi negli spazi più angusti o svolgere compiti semplici.

I mestieri della seta: un’organizzazione rigorosa
All’interno della filanda, il lavoro era quasi interamente affidato alle donne, vere protagoniste di un complesso e meticoloso processo produttivo.
Le operaie, spesso giovanissime, tra i 12-17 anni, erano suddivise tra diverse mansioni, dalla preparazione dei bozzoli fino alla filatura del prezioso filo di seta.
La produzione si articolava in ambienti distinti, ognuno con una funzione specifica, in conformità con la struttura e l’organizzazione interna tipiche delle filande dell’epoca.
Essiccatoio: dove i bozzoli venivano essiccati per uccidere la crisalide all’interno e impedirle di rompere il filo durante la metamorfosi.
Sala macchine: Il cuore operativo della filanda, dove il rumore era costante e l’ambiente caldo e umido. In questa grande sala trovavano posto 72 fornelli alimentati a carbone disposti su due file, attorno ai quali le filere, con l’aiuto delle scoatine, estraevano la seta attraverso un processo delicato e complesso.
Camera della seta: Una zona più tranquilla e salubre, riservata a poche e selezionate operaie, che si occupavano della fase finale del processo: la selezione e la classificazione dei fili migliori. A loro spettava il compito delicato di valutare la qualità del prodotto finito, e dunque la destinazione del filato.
È importante sottolineare che nella filanda di Illasi non si tessevano tessuti: il lavoro si concludeva con la produzione delle matasse di seta grezza, destinate poi a stabilimenti più grandi, come quelli di Verona o Montorio, dove avveniva la tessitura.
Il lavoro era organizzato secondo una gerarchia ben definita, che permetteva alle lavoratrici di acquisire competenze specifiche e, con il tempo, di avanzare di ruolo. Nella tradizionale lavorazione della seta, la “scoatina” era una giovane operaia, spesso una bambina, incaricata di immergere i bozzoli in acqua calda e di liberare con delicatezza il capofilo, ovvero l’estremità del filo di seta. Dopo questa fase iniziale, la filera, donna più esperta, prendeva in consegna i capofili di diversi bozzoli (5-6), unendoli e filandoli per ottenere un filo continuo di seta grezza che poi avvolgevano per formare delle matasse. Ogni matassa era numerata con il numero assegnato alla filera, per garantire qualità e responsabilità.
Entrambi i ruoli richiedevano grande attenzione e manualità e rappresentavano tappe fondamentali nel processo artigianale della trattura della seta.
Accanto alla forza lavoro femminile, operavano anche 3 o 4 uomini, incaricati di sovrintendere al corretto funzionamento degli impianti. Tra questi, spiccano i nomi di Stefano Bonamini, macchinista in servizio per oltre vent’anni, e Silvio Dal Colle, entrambi patentati e altamente specializzati. Erano affiancati da due fuochisti, addetti all’alimentazione costante della grande caldaia che forniva calore alla filanda.
Complessivamente la filanda dava lavoro a circa un centinaio di persone. Tra loro si ricordano con certezza figure come Teresa Olivieri, Enrica Madinelli, Augusta Solfa, Pia Carlotta Zangrandi, Ottavia Germani Taglia, Giuseppina Germani, Anna Verzini e Rosa Gozzo.
Declino e rinascita: la nuova vita della Filanda
Dopo quasi sessant’anni di attività, la filanda chiuse nel 1931, colpita dalla crisi del mercato serico: la concorrenza estera, l’introduzione delle fibre sintetiche e il crollo dei prezzi misero in ginocchio l’intero settore.
Negli anni ’90, si testimonia l’edificio come ormai in rovina: vetri rotti, muri crepati, la vegetazione che ne inghiottiva lentamente le forme.
Venne poi venduto dagli ultimi proprietari, Eugenio e Fausta.
Oggi la filanda non è più una fabbrica, ma un condominio residenziale risultato di un’attenta ristrutturazione che ha valorizzato e conservato gli elementi caratteristici dell’architettura industriale originale come le grandi finestre, il terrazzo, la maestosa ciminiera apparentemente cadente che originariamente fu costruita con un’inclinazione studiata per resistere ai venti.
L’edificio è stato riconosciuto come bene culturale di interesse storico-architettonico, ed è censito nel Sistema Informativo Unificato per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale Italiano (S.I.U.P.I.).
Un esempio virtuoso di memoria storica che vive ancora nel paesaggio e nella comunità locale.

🇬🇧 English

The Illasi Silk Mill (1873–1931): A Journey Through the History of Verona’s Silk Industry

Until the mid-20th century, Illasi—a rural village with little industry beyond farming—was home to a large silk mill owned by the Perbellini family. Located along the Prognolo stream, the mill employed around a hundred workers, in addition to many families who raised silkworms at home. This work was almost entirely carried out by women: they fed the silkworms with mulberry leaves gathered by children, and raised them on racks inside their houses. After about forty days, the cocoons formed. Women used a tool called the spelarina to remove the outer layer of the more valuable white cocoons, which they then brought to the mill in exchange for payment. The workforce in the mill itself was also largely female, with young women assigned either to the preparation of the cocoons or to silk reeling. By the 1950s, silkworm farming had declined, and today the former mill has been transformed into a modern apartment building. However, its structure and tall chimney still recall the labor of past generations.

The Roots of the Silk Mill: The Perbellini Brothers

In the heart of the Illasi valley, amidst a landscape of olive groves and vineyards, once stood one of the area’s most important industrial enterprises: the Illasi Silk Mill.
Here, through a process both fascinating and demanding, silkworm cocoons were transformed into raw silk thread (each delicate cocoon yielding up to 8–9 meters of silk).

Founded in 1873, during the peak of Veneto’s silk industry, the mill represented a true innovation in a territory still deeply tied to agriculture. Yet silk farming was closely linked to the farming cycle itself: in springtime, peasant families raised silkworms at home and then delivered the cocoons to the mill, gaining a small but valuable source of income.

The facility was built in a strategic location, near waterways such as the Prognolo (a branch of the main stream of the valley), which still gives its name to the street where the factory once stood.

This industrial project was launched by Eugenio and Giacomo Perbellini, entrepreneurs from Verona, who purchased and expanded an 18th-century residence to create the factory. A key role was played by their brother, Don Luigi Perbellini, parish priest of Illasi, who with foresight and a strong sense of community promoted the establishment of the mill to provide new job opportunities for the area.

Alongside the main building, housing for the female workers was also built. Many workers even came from outside the region, including from Cremona. The original row-house structure of these dwellings can still be seen today along Via Domegiano.

The Harsh Life in the Mill

Working at the silk mill meant facing extremely harsh conditions, especially for the young women—many aged only 12 to 17—who made up most of the workforce.

The work was marked not only by low wages but also by poor hygiene and exhausting schedules. Shifts lasted 10–12 hours in hot, humid environments, amid the deafening noise of machines and the pungent smell of the freschino, with hands constantly raw from being immersed in boiling water.

Tasks were repetitive and monotonous: keeping an eye on the silk as it was reeled, ensuring the thread did not break, and fixing any faults. To pass the time, women often sang or prayed.

During the working day, there was only one break—from 12 to 1 p.m.—and it was not uncommon for workers to faint from exhaustion or the intense heat near the machinery.

Supervision was strict: the owner inspected the factory at least once a day, while his wife, seated in the middle of the workroom with crochet in hand, silently and vigilantly monitored the workers.

In 1921–22, in a context still lacking real protections, the women of the Illasi mill courageously organized a strike to protest against the grueling pace of work. It was a bold gesture, anticipating by years the arrival of Italy’s first labor laws.

By the early 20th century, government labor inspectors had begun making visits—signs of a system slowly changing—but mistakes were still punished, not only by supervisors but also by more experienced colleagues, the filere. Responsible for quality, they did not hesitate to punish younger workers by throwing hot water in their faces. If one worker was late, all the others had to make up for the lost time.

Despite the modest pay, the mill represented one of the few sources of steady income for many women and, though hard-earned, an opportunity for economic independence. Even children, often the workers’ own, were employed to clean machines, crawl into tight spaces, or perform simple tasks.

The Crafts of Silk: A Strict Organization

Inside the mill, nearly all tasks were entrusted to women, the true protagonists of this complex and meticulous production process.

The young workers, often aged 12–17, were divided into different roles, from preparing the cocoons to reeling the precious silk thread.

Production took place in distinct rooms, each with a specific function, in keeping with the organization typical of silk mills of the time:

Drying room: where cocoons were dried to kill the chrysalis inside and prevent it from breaking the thread during metamorphosis.
Machine hall: the operational heart of the mill, filled with constant noise and hot, humid air. Here, 72 coal-fired stoves were arranged in two rows. Around them, the filere, assisted by scoatine, extracted the silk in a delicate and complex process.
Silk room: a calmer and healthier space, reserved for a select few workers tasked with the final stage of production—selecting and classifying the best threads. They had the delicate responsibility of evaluating the quality of the finished product and determining its destination.
It is important to note that the Illasi mill did not weave fabrics: its work ended with the production of skeins of raw silk, which were then sent to larger establishments in Verona or Montorio for weaving.

Work was organized within a clear hierarchy that allowed women to develop specific skills and, over time, advance in role. In traditional silk processing, the scoatina was a young worker—often just a child—responsible for immersing the cocoons in hot water and carefully freeing the capofilo (the end of the silk thread). Once this was done, the more experienced filera would take several capofili (5–6) and reel them together into a continuous raw silk thread, winding it into skeins. Each skein was marked with the filera’s number to ensure both quality and accountability.

Both roles required great precision and manual skill, forming essential steps in the artisanal silk-reeling process.

Alongside the female workforce, three or four men were employed to oversee the machinery. Among them were Stefano Bonamini, a machinist who worked for over twenty years, and Silvio Dal Colle—both licensed and highly skilled. They were assisted by two firemen, who kept the large boiler running.

In total, the mill employed around one hundred people. Known names among them include Teresa Olivieri, Enrica Madinelli, Augusta Solfa, Pia Carlotta Zangrandi, Ottavia Germani Taglia, Giuseppina Germani, Anna Verzini, and Rosa Gozzo.

Decline and Renewal: The New Life of the Silk Mill

After nearly sixty years of activity, the mill closed in 1931, struck by the crisis in the silk market: foreign competition, the arrival of synthetic fibers, and collapsing prices brought the entire sector to its knees.

By the 1990s, the building was in ruins: broken windows, cracked walls, vegetation slowly consuming its form. It was eventually sold by its last owners, Eugenio and Fausta.

Today, the mill is no longer a factory but a residential condominium, the result of a careful renovation that preserved and highlighted characteristic elements of its original industrial architecture: the large windows, the terrace, and the majestic, slightly leaning chimney, originally built at an angle to withstand strong winds.

The building has been officially recognized as a cultural asset of historical and architectural interest and is listed in the Unified Information System for the Valorization of Italian Cultural Heritage (S.I.U.P.I.).

It stands today as a virtuous example of historical memory, still alive in the local landscape and community.

🇫🇷 Français

La filature d’Illasi (1873–1931) : un voyage dans l’histoire de la soie véronaise

Jusqu’à la moitié du siècle dernier, Illasi – une commune rurale où l’activité industrielle était rare et liée presque exclusivement à l’agriculture – abritait une grande filature de soie appartenant à la famille Perbellini. Située sur le ruisseau Prognolo, elle employait une centaine de personnes, ainsi que de nombreuses familles qui élevaient des vers à soie à domicile. Ce travail était presque entièrement féminin : les femmes nourrissaient les vers avec des feuilles de mûrier cueillies par les enfants et les élevaient chez elles sur des claies. Après une quarantaine de jours, les cocons se formaient. Les femmes utilisaient un outil appelé spelarina pour enlever la couche extérieure des cocons blancs – les plus précieux – et les apportaient à la filature en échange d’une rémunération. À l’intérieur de l’usine, la main-d’œuvre était également majoritairement féminine, les jeunes filles étant réparties entre la préparation des cocons et le dévidage de la soie. Dans les années 1950, l’élevage des vers à soie déclina, et aujourd’hui la filature a été transformée en immeuble résidentiel moderne, mais sa structure et sa haute cheminée rappellent encore le travail d’autrefois.

Les racines de la filature : les frères Perbellini

Au cœur de la vallée d’Illasi, entourée d’oliveraies et de vignobles, s’élevait autrefois l’une des entreprises industrielles les plus importantes de la région : la filature d’Illasi.

C’est ici que les cocons du ver à soie étaient transformés, grâce à un processus aussi fascinant qu’éprouvant, en fil de soie brute (chaque cocon, avec sa structure délicate, pouvant produire jusqu’à 8–9 mètres de soie).

Fondée en 1873, au moment du plein essor de la sériciculture vénitienne, la filature constitua une véritable innovation dans un contexte encore largement agricole. Mais l’activité séricole restait étroitement liée au cycle agricole : au printemps, les familles paysannes élevaient les vers à soie chez elles puis livraient les cocons à la filature, ce qui représentait pour elles une petite ressource économique.

L’usine fut bâtie dans un lieu stratégique, à proximité des cours d’eau comme le Prognolo (un bras du torrent principal de la vallée), qui donne encore aujourd’hui son nom à la rue où se dressait l’établissement.

À l’origine de ce projet industriel se trouvaient Eugenio et Giacomo Perbellini, entrepreneurs véronais, qui achetèrent et agrandirent une maison du XVIIIe siècle pour y installer l’usine. Leur frère, Don Luigi Perbellini, curé d’Illasi, joua un rôle essentiel : avec clairvoyance et un profond esprit communautaire, il encouragea la création de la filature afin d’offrir de nouvelles opportunités de travail à la population.

En plus du bâtiment principal, des logements furent construits pour les ouvrières, dont beaucoup venaient même d’autres régions, comme celle de Crémone. On peut encore aujourd’hui admirer la structure en rangée de ces maisons en se promenant dans la via Domegiano.

La dure vie à la filature

Travailler dans une filature signifiait affronter des conditions extrêmement pénibles, surtout pour les jeunes filles – beaucoup avaient entre 12 et 17 ans – qui représentaient la majorité de la main-d’œuvre.

En plus des bas salaires, les conditions étaient marquées par une hygiène déplorable et des horaires harassants. Les journées de travail duraient souvent 10 à 12 heures, dans des pièces chaudes et humides, au milieu du vacarme assourdissant des machines et de l’odeur âcre du freschino, les mains gercées et constamment plongées dans l’eau bouillante.

Les tâches étaient répétitives et monotones : surveiller le fil pendant le dévidage, veiller à ce qu’il ne casse pas et réparer les éventuelles ruptures. Pour passer le temps, on chantait ou on priait.

La journée ne comportait qu’une seule pause – le déjeuner de midi à 13 heures – et il n’était pas rare qu’une ouvrière s’évanouisse de fatigue ou à cause de la chaleur intense près des machines.

La surveillance était constante : le patron visitait l’usine au moins une fois par jour pour vérifier le travail, tandis que la patronne, assise au milieu de la salle avec son crochet à la main, contrôlait en silence, présente de façon discrète mais vigilante.

En 1921–22, dans un contexte encore dépourvu de protections sociales, les ouvrières de la filature d’Illasi eurent le courage d’organiser une grève pour protester contre les cadences épuisantes. Un geste audacieux, qui anticipait de plusieurs années l’arrivée des premières lois italiennes en faveur des droits des travailleurs.

Et même si, au début du XXe siècle, les inspecteurs du travail commencèrent à effectuer des contrôles (signe d’un système en lente évolution), chaque erreur était punie – non seulement par les supérieurs, mais aussi par les collègues plus expérimentées, les filere, garantes de la qualité, qui n’hésitaient pas à jeter de l’eau bouillante au visage des plus jeunes. En outre, si une ouvrière arrivait en retard, toutes les autres devaient compenser le temps perdu.

Malgré les salaires modestes, la filature représentait pour de nombreuses femmes l’une des rares sources de revenu stable et, même chèrement payé, un moyen d’émancipation économique. Les enfants, souvent ceux des ouvrières elles-mêmes, étaient également employés : ils nettoyaient les machines, se glissaient dans les espaces les plus étroits ou accomplissaient de petites tâches simples.

Les métiers de la soie : une organisation rigoureuse

À l’intérieur de la filature, le travail était presque entièrement confié aux femmes, véritables protagonistes d’un processus productif complexe et minutieux.

Les ouvrières, souvent très jeunes (12–17 ans), étaient réparties entre différentes fonctions, de la préparation des cocons jusqu’au dévidage du précieux fil de soie.

La production se déroulait dans différents espaces, chacun ayant une fonction spécifique, selon l’organisation typique des filatures de l’époque :

Salle de séchage : où les cocons étaient séchés afin de tuer la chrysalide et d’empêcher qu’elle ne rompe le fil pendant la métamorphose.
Salle des machines : le cœur opérationnel de la filature, marqué par un bruit constant et une atmosphère chaude et humide. Cette grande salle abritait 72 fourneaux à charbon disposés en deux rangées, autour desquels les filere, aidées par les scoatine, tiraient la soie selon un processus délicat et complexe.
Salle de la soie : un espace plus calme et plus sain, réservé à quelques ouvrières expérimentées, chargées de l’étape finale : la sélection et la classification des meilleurs fils. C’était à elles qu’incombait la tâche délicate d’évaluer la qualité du produit fini, et donc la destination du fil.
Il est important de préciser que la filature d’Illasi ne tissait pas de tissus : son activité s’achevait avec la production d’écheveaux de soie brute, envoyés ensuite dans de plus grands établissements, comme ceux de Vérone ou de Montorio, pour y être tissés.

Le travail obéissait à une hiérarchie bien définie, permettant aux ouvrières d’acquérir des compétences spécifiques et, avec le temps, de progresser dans leur rôle. Dans la tradition séricole, la scoatina était une jeune ouvrière, souvent une enfant, chargée de plonger les cocons dans l’eau chaude et de libérer délicatement le capofilo (le début du fil). Ensuite, la filera, plus expérimentée, prenait en charge les fils de plusieurs cocons (5–6), les réunissait et les dévidait pour obtenir un fil continu de soie brute, qu’elle enroulait en écheveaux. Chaque écheveau était numéroté selon l’ouvrière qui l’avait produit, garantissant ainsi qualité et traçabilité.

Ces deux rôles exigeaient une grande attention et une grande habileté manuelle, et constituaient des étapes essentielles du processus artisanal de la soie.

Aux côtés de la main-d’œuvre féminine travaillaient aussi trois ou quatre hommes, chargés de superviser le bon fonctionnement des installations. Parmi eux, on se souvient de Stefano Bonamini, machiniste pendant plus de vingt ans, et de Silvio Dal Colle, tous deux diplômés et hautement qualifiés. Ils étaient assistés par deux chauffeurs, responsables de l’alimentation continue de la grande chaudière qui fournissait la chaleur à la filature.

Au total, la filature employait environ cent personnes. Parmi elles, on connaît avec certitude les noms de Teresa Olivieri, Enrica Madinelli, Augusta Solfa, Pia Carlotta Zangrandi, Ottavia Germani Taglia, Giuseppina Germani, Anna Verzini et Rosa Gozzo.

Déclin et renaissance : la nouvelle vie de la filature

Après près de soixante ans d’activité, la filature ferma ses portes en 1931, frappée par la crise du marché de la soie : la concurrence étrangère, l’introduction des fibres synthétiques et l’effondrement des prix mirent tout le secteur à genoux.

Dans les années 1990, le bâtiment n’était plus qu’une ruine : vitres brisées, murs fissurés, végétation envahissante. Il fut ensuite vendu par les derniers propriétaires, Eugenio et Fausta.

Aujourd’hui, la filature n’est plus une usine, mais une copropriété résidentielle, fruit d’une rénovation soignée qui a su mettre en valeur et préserver les éléments caractéristiques de son architecture industrielle originale : les grandes fenêtres, la terrasse, et l’imposante cheminée, légèrement inclinée – une inclinaison calculée dès sa construction pour résister aux vents.

Le bâtiment a été reconnu comme bien culturel d’intérêt historique et architectural, et il est inscrit au Système d’Information Unifié pour la Valorisation du Patrimoine Culturel Italien (S.I.U.P.I.).

Un exemple vertueux de mémoire historique, qui vit encore dans le paysage et dans la communauté locale.

🇩🇪 Deutsch

Die Seidenspinnerei von Illasi (1873–1931): Eine Reise durch die Geschichte der Veroneser Seide

Bis zur Mitte des letzten Jahrhunderts beherbergte Illasi – eine landwirtschaftlich geprägte Gemeinde mit nur wenigen, überwiegend mit der Landwirtschaft verbundenen Industriebetrieben – eine große Seidenspinnerei im Besitz der Familie Perbellini. Diese Anlage, am Bach Prognolo gelegen, bot rund hundert Menschen Arbeit, zusätzlich zu den vielen Familien, die zu Hause Seidenraupen züchteten. Diese Tätigkeit wurde fast ausschließlich von Frauen ausgeübt: Sie fütterten die Raupen mit Maulbeerblättern, die von den Kindern gesammelt wurden, und zogen sie in ihren Häusern auf Gestellen auf. Nach etwa vierzig Tagen bildeten sich die Kokons. Mit einem Werkzeug, der sogenannten Spelarina, entfernten die Frauen die äußere Schicht der wertvolleren weißen Kokons und brachten sie in die Spinnerei, um eine Bezahlung zu erhalten. Auch dort war die Arbeit überwiegend weiblich, wobei die Mädchen zwischen der Vorbereitung der Kokons und dem Spinnen der Seide aufgeteilt waren. In den 1950er-Jahren ging die Seidenraupenzucht zurück, und heute ist die Spinnerei in ein modernes Wohnhaus umgewandelt worden – doch ihre Struktur und der Schornstein erinnern noch immer an die Arbeit vergangener Zeiten.

Die Wurzeln der Spinnerei: Die Brüder Perbellini

Im Herzen des Illasi-Tals, eingebettet in eine Landschaft aus Olivenhainen und Weinbergen, befand sich einst eines der bedeutendsten Industrieunternehmen der Gegend: die Seidenspinnerei von Illasi.
Hier wurden die Kokons der Seidenraupe in einem ebenso faszinierenden wie anstrengenden Prozess zu Rohseide verarbeitet (jeder Kokon konnte mit seiner feinen Struktur bis zu 8–9 Meter Seide liefern).

Die 1873 gegründete Spinnerei entstand in einer Phase des Aufschwungs der venetischen Seidenindustrie und stellte in einer noch stark landwirtschaftlich geprägten Region eine echte Neuheit dar. Dennoch war die Seidenproduktion eng mit dem landwirtschaftlichen Zyklus verknüpft: Im Frühling zogen die Bauernfamilien die Raupen zu Hause auf und brachten die Kokons anschließend in die Spinnerei – eine kleine, aber wichtige zusätzliche Einnahmequelle.

Die Anlage wurde an einem strategischen Standort errichtet, in der Nähe von Wasserläufen wie dem Prognolo (einem Seitenarm des Hauptbachs des Tales), der bis heute der Straße den Namen gibt, in der die Fabrik einst stand.

Ins Leben gerufen wurde das Projekt von Eugenio und Giacomo Perbellini, Unternehmern aus Verona, die ein Wohnhaus aus dem 18. Jahrhundert erwarben und erweiterten, um daraus die Fabrik zu machen. Eine entscheidende Rolle spielte ihr Bruder Don Luigi Perbellini, Pfarrer von Illasi, der mit Weitsicht und starkem Gemeinschaftssinn die Gründung der Spinnerei förderte, um der Region neue Arbeitsmöglichkeiten zu verschaffen.

Neben dem Hauptgebäude wurden auch Arbeiterwohnungen errichtet, viele der Arbeiterinnen kamen sogar aus anderen Regionen, etwa aus Cremona. Noch heute kann man bei einem Spaziergang durch die Via Domegiano die ursprüngliche Reihenstruktur dieser Häuser erkennen.

Das harte Leben in der Spinnerei

Arbeiten in der Spinnerei bedeutete, extrem harten Bedingungen ausgesetzt zu sein – insbesondere für die jungen Frauen, viele zwischen 12 und 17 Jahren, die den Großteil der Belegschaft stellten.

Die Arbeit war geprägt von niedrigen Löhnen, mangelhafter Hygiene und erschöpfenden Arbeitszeiten. Die Schichten dauerten oft 10–12 Stunden, in heißen, feuchten Räumen, begleitet vom ohrenbetäubenden Lärm der Maschinen und dem stechenden Geruch des sogenannten freschino, stets mit aufgesprungenen Händen, die in kochendes Wasser getaucht waren.

Die Aufgaben waren eintönig und wiederholend: den Faden beim Spinnen zu überwachen, darauf zu achten, dass er nicht riss, und Schäden zu beheben. Um die Zeit zu vertreiben, wurde gesungen oder gebetet.

Es gab nur eine einzige Pause am Tag – die Mittagspause von 12 bis 13 Uhr – und es kam nicht selten vor, dass Arbeiterinnen vor Erschöpfung oder Hitze ohnmächtig wurden.

Die Kontrolle war streng: Der Fabrikbesitzer inspizierte die Anlage mindestens einmal täglich, während seine Frau, in der Mitte des Saales sitzend, mit der Häkelarbeit in der Hand still, aber aufmerksam über die Arbeiterinnen wachte.

In den Jahren 1921–22 hatten die Arbeiterinnen der Illasi-Spinnerei den Mut, einen Streik zu organisieren, um gegen die erschöpfenden Arbeitsrhythmen zu protestieren. Ein kühner Akt, der den ersten italienischen Arbeitsgesetzen Jahre vorausging.

Zu Beginn des 20. Jahrhunderts begannen zwar die Inspektoren der Arbeitsaufsicht Kontrollen durchzuführen – ein Zeichen für ein sich langsam wandelndes System –, dennoch wurden Fehler streng bestraft: nicht nur von den Vorgesetzten, sondern auch von den erfahreneren Kolleginnen, den filere, die für die Qualität verantwortlich waren und nicht zögerten, den jüngeren Arbeiterinnen einen Eimer heißes Wasser ins Gesicht zu werfen. Kam eine Arbeiterin zu spät, mussten alle anderen die verlorene Zeit ausgleichen.

Trotz der geringen Löhne war die Spinnerei für viele Frauen eine der wenigen stabilen Einkommensquellen und, wenn auch hart erkämpft, eine Chance auf wirtschaftliche Selbstständigkeit. Auch Kinder, oft die eigenen, wurden beschäftigt, um Maschinen zu reinigen, in enge Zwischenräume zu kriechen oder einfache Aufgaben zu erledigen.

Die Berufe der Seide: Strenge Organisation

In der Spinnerei war die Arbeit fast vollständig in Frauenhände gelegt – sie waren die wahren Protagonistinnen dieses komplexen und sorgfältigen Produktionsprozesses.

Die Arbeiterinnen, oft sehr jung (12–17 Jahre), wurden verschiedenen Aufgabenbereichen zugeteilt, von der Vorbereitung der Kokons bis zum Spinnen des wertvollen Seidenfadens.

Die Produktion war in verschiedene Räume gegliedert, jeder mit einer bestimmten Funktion, entsprechend der typischen inneren Organisation der Spinnereien jener Zeit:

Trocknungsraum: Hier wurden die Kokons getrocknet, um die Puppe im Inneren abzutöten und zu verhindern, dass sie den Faden während der Metamorphose beschädigte.
Maschinensaal: Das operative Herz der Spinnerei, mit konstantem Lärm und heiß-feuchtem Klima. In diesem großen Raum befanden sich 72 kohlebefeuerte Kessel, in zwei Reihen angeordnet, an denen die filere mit Hilfe der scoatine die Seide in einem heiklen und komplexen Prozess abzogen.
Seidenzimmer: Ein ruhigerer und gesünderer Bereich, nur wenigen ausgewählten Arbeiterinnen vorbehalten, die den letzten Arbeitsschritt übernahmen: die Auswahl und Klassifizierung der besten Fäden. Ihnen oblag die heikle Aufgabe, die Qualität des Endprodukts zu bewerten und damit die Bestimmung des Garns festzulegen.
Wichtig ist zu betonen, dass in der Illasi-Spinnerei keine Stoffe gewebt wurden: Die Arbeit endete mit der Herstellung von Strähnen aus Rohseide, die anschließend in größere Betriebe, etwa in Verona oder Montorio, zur Weiterverarbeitung geschickt wurden.

Die Arbeit war in einer klaren Hierarchie organisiert, die es den Arbeiterinnen ermöglichte, spezifische Fähigkeiten zu erwerben und mit der Zeit aufzusteigen. In der traditionellen Seidenverarbeitung war die scoatina ein junges Mädchen, oft noch ein Kind, das die Kokons ins heiße Wasser tauchte und vorsichtig den capofilo (den Fadenanfang) freilegte. Danach übernahm die erfahrenere filera mehrere Fadenanfänge (5–6), spann sie zu einem kontinuierlichen Rohseidenfaden und wickelte diesen zu Strähnen auf. Jede Strähne erhielt die Nummer der jeweiligen filera, um Qualität und Verantwortlichkeit zu gewährleisten.

Beide Rollen erforderten große Aufmerksamkeit und Geschicklichkeit und stellten entscheidende Etappen im kunsthandwerklichen Prozess der Seidengewinnung dar.

Neben der weiblichen Belegschaft arbeiteten auch drei bis vier Männer, die für den reibungslosen Betrieb der Maschinen verantwortlich waren. Hervorzuheben sind Stefano Bonamini, der über zwanzig Jahre als Maschinist tätig war, und Silvio Dal Colle – beide ausgebildet und hochspezialisiert. Unterstützt wurden sie von zwei Heizers, die den großen Kessel ständig befeuerten.

Insgesamt bot die Spinnerei etwa hundert Menschen Arbeit. Sicher überliefert sind Namen wie Teresa Olivieri, Enrica Madinelli, Augusta Solfa, Pia Carlotta Zangrandi, Ottavia Germani Taglia, Giuseppina Germani, Anna Verzini und Rosa Gozzo.

Niedergang und Wiedergeburt: Das neue Leben der Spinnerei

Nach fast sechzig Jahren Tätigkeit wurde die Spinnerei 1931 geschlossen, getroffen von der Krise des Seidenmarktes: Ausländische Konkurrenz, die Einführung synthetischer Fasern und der Preisverfall brachten die gesamte Branche zum Erliegen.

In den 1990er-Jahren war das Gebäude nur noch eine Ruine: zerbrochene Fenster, rissige Mauern, von Vegetation überwuchert. Schließlich wurde es von den letzten Eigentümern, Eugenio und Fausta, verkauft.

Heute ist die Spinnerei keine Fabrik mehr, sondern ein Wohnkomplex, das Ergebnis einer sorgfältigen Renovierung, die charakteristische Elemente der ursprünglichen Industriearchitektur bewahrte und hervorhob: die großen Fenster, die Terrasse und den majestätischen, scheinbar schiefen Schornstein, der ursprünglich mit einer Neigung gebaut wurde, um den Winden standzuhalten.

Das Gebäude wurde als Kulturgut von historisch-architektonischem Interesse anerkannt und ist im Einheitlichen Informationssystem zur Aufwertung des italienischen Kulturerbes (S.I.U.P.I.) eingetragen.

Ein vorbildliches Beispiel für lebendige Erinnerungskultur, die noch heute in der Landschaft und der Gemeinschaft weiterlebt.

🇪🇸 Español

La hilandería de Illasi (1873–1931): un viaje por la historia de la seda veronesa

Hasta mediados del siglo pasado, Illasi – un municipio agrícola con escasas actividades industriales, ligadas casi exclusivamente a la agricultura – albergaba una gran hilandería de seda propiedad de la familia Perbellini. Situada a orillas del arroyo Prognolo, daba trabajo a unas cien personas, además de a muchas familias que criaban gusanos de seda en sus casas. Esta labor era casi exclusivamente femenina: las mujeres alimentaban a los gusanos con hojas de morera recogidas por los niños y los criaban en casa sobre bastidores. Al cabo de unos cuarenta días, se formaban los capullos. Las mujeres utilizaban una herramienta llamada spelarina para quitar la parte exterior de los capullos blancos, más valiosos, y los llevaban a la hilandería a cambio de un pago. Allí, el trabajo también era mayoritariamente femenino, con jóvenes repartidas entre la preparación de los capullos y el devanado de la seda. En los años cincuenta del siglo XX, la cría de gusanos de seda disminuyó, y hoy la hilandería ha sido transformada en un moderno edificio residencial, aunque su estructura y su chimenea siguen recordando el trabajo de antaño.

Las raíces de la hilandería: los hermanos Perbellini

En el corazón del valle de Illasi, rodeado de olivares y viñedos, se encontraba en su día una de las empresas industriales más importantes de la zona: la hilandería de Illasi.
Allí, mediante un proceso tan fascinante como arduo, los capullos del gusano de seda se transformaban en hilo de seda en bruto (cada capullo, con su delicada estructura, podía producir hasta 8–9 metros de seda).

Fundada en 1873, en pleno auge del sector sedero veneciano, la hilandería supuso una auténtica novedad en un contexto todavía profundamente agrícola. Sin embargo, la actividad sedera estaba estrechamente vinculada al ciclo agrícola, pues en primavera las familias campesinas criaban gusanos de seda en casa y luego entregaban los capullos a la hilandería, constituyendo así un pequeño recurso económico.

La instalación se construyó en un lugar estratégico, cerca de cursos de agua como el Prognolo (un ramal del arroyo principal del valle), que aún hoy da nombre a la calle donde se erigía la fábrica.

El proyecto industrial fue impulsado por Eugenio y Giacomo Perbellini, empresarios veroneses que compraron y ampliaron una casa del siglo XVIII para convertirla en el taller. Fundamental fue la intervención de su hermano, Don Luigi Perbellini, párroco de Illasi, que con gran visión de futuro y espíritu comunitario promovió la creación de la hilandería para ofrecer nuevas oportunidades de empleo a la zona.

Además del edificio principal, se construyeron viviendas para las obreras, muchas de las cuales procedían incluso de fuera de la región, como de la zona de Cremona. Todavía hoy es posible admirar la estructura original en hilera de estas casas al pasear por la Via Domegiano.

La dura vida en la hilandería

Trabajar en la hilandería significaba afrontar condiciones extremadamente duras, especialmente para las jóvenes – muchas de entre 12 y 17 años – que constituían la mayoría de la mano de obra.

El trabajo se caracterizaba no solo por los bajos salarios, sino también por la escasa higiene y las jornadas agotadoras. Las jornadas laborales duraban a menudo 10–12 horas, en ambientes calurosos y húmedos, entre el ruido ensordecedor de la maquinaria y el olor penetrante del freschino, con las manos siempre agrietadas y sumergidas en agua hirviendo.

Las tareas eran repetitivas y monótonas: había que vigilar el hilo durante el devanado, evitar que se rompiera y reparar posibles fallos. Para pasar el tiempo, se cantaba o se rezaba.

Durante la jornada laboral solo había una pausa – el almuerzo de 12 a 13 horas – y no era raro que alguna obrera se desmayara por el cansancio o el calor intenso cerca de las máquinas.

La presión era constante: el patrón visitaba la fábrica al menos una vez al día para comprobar el trabajo, mientras que la patrona, sentada en medio de la sala con el ganchillo en la mano, vigilaba en silencio, con una presencia discreta pero atenta.

En 1921–22, en un contexto todavía desprovisto de verdaderas protecciones, las obreras de la hilandería de Illasi tuvieron el valor de organizar una huelga para protestar contra los ritmos extenuantes de trabajo. Fue un gesto audaz que se adelantó varios años a la llegada de las primeras leyes italianas en defensa de los derechos de los trabajadores.

Y aunque, a comienzos del siglo XX, los inspectores de trabajo empezaban a hacerse presentes (señal de un sistema que cambiaba lentamente), cualquier error era castigado, no solo por los superiores, sino también por las compañeras más experimentadas, las filere, responsables de la calidad del trabajo, que no dudaban en arrojar un cubo de agua caliente a la cara de las más jóvenes. Además, si una obrera llegaba tarde, todas las demás debían compensar el tiempo perdido.

A pesar de los modestos salarios, la hilandería representaba para muchas mujeres una de las pocas fuentes de ingresos estables y, aunque duramente conseguido, un medio de emancipación económica. Incluso los niños, a menudo hijos de las propias trabajadoras, eran empleados para limpiar las máquinas, introducirse en los espacios más estrechos o realizar tareas sencillas.

Los oficios de la seda: una organización rigurosa

Dentro de la hilandería, el trabajo estaba casi enteramente en manos de mujeres, verdaderas protagonistas de un proceso productivo complejo y meticuloso.

Las obreras, a menudo muy jóvenes (12–17 años), se dividían en distintas funciones, desde la preparación de los capullos hasta el devanado del precioso hilo de seda.

La producción se desarrollaba en espacios diferenciados, cada uno con una función específica, de acuerdo con la organización típica de las hilanderías de la época:

Secadero: donde los capullos se secaban para matar a la crisálida en su interior e impedir que rompiera el hilo durante la metamorfosis.
Sala de máquinas: el corazón operativo de la hilandería, donde el ruido era constante y el ambiente caluroso y húmedo. En esta gran sala había 72 hornillos de carbón dispuestos en dos filas, alrededor de los cuales las filere, con la ayuda de las scoatine, extraían la seda mediante un proceso delicado y complejo.
Sala de la seda: un espacio más tranquilo y saludable, reservado a pocas obreras seleccionadas, encargadas de la última fase: la selección y clasificación de los mejores hilos. Tenían la delicada responsabilidad de evaluar la calidad del producto final y, por tanto, determinar su destino.
Es importante subrayar que en la hilandería de Illasi no se tejían tejidos: el trabajo concluía con la producción de madejas de seda en bruto, destinadas después a fábricas más grandes, como las de Verona o Montorio, donde se realizaba el tejido.

El trabajo estaba organizado según una jerarquía bien definida, que permitía a las obreras adquirir competencias específicas y, con el tiempo, ascender de puesto. En la producción tradicional de la seda, la scoatina era una joven trabajadora, a menudo una niña, encargada de sumergir los capullos en agua caliente y liberar con cuidado el capofilo, es decir, el extremo del hilo. Tras esta fase inicial, la filera, una mujer más experimentada, tomaba los capofili de varios capullos (5–6), los unía y devanaba para obtener un hilo continuo de seda en bruto, que luego enrollaba en madejas. Cada madeja se numeraba con el número asignado a la filera, garantizando calidad y responsabilidad.

Ambos roles exigían gran atención y destreza manual y constituían etapas fundamentales en el proceso artesanal de la seda.

Junto a la mano de obra femenina trabajaban también tres o cuatro hombres, encargados de supervisar el correcto funcionamiento de la maquinaria. Destacan los nombres de Stefano Bonamini, maquinista en servicio durante más de veinte años, y Silvio Dal Colle, ambos titulados y altamente especializados. Contaban con la ayuda de dos fogoneros, encargados de alimentar constantemente la gran caldera que proporcionaba calor a la hilandería.

En total, la hilandería daba empleo a unas cien personas. Entre ellas se recuerdan con certeza figuras como Teresa Olivieri, Enrica Madinelli, Augusta Solfa, Pia Carlotta Zangrandi, Ottavia Germani Taglia, Giuseppina Germani, Anna Verzini y Rosa Gozzo.

Decadencia y renacimiento: la nueva vida de la hilandería

Tras casi sesenta años de actividad, la hilandería cerró en 1931, golpeada por la crisis del mercado de la seda: la competencia extranjera, la introducción de fibras sintéticas y la caída de los precios pusieron de rodillas a todo el sector.

En los años noventa, el edificio estaba ya en ruinas: cristales rotos, muros agrietados, la vegetación devorando lentamente su estructura. Fue posteriormente vendido por sus últimos propietarios, Eugenio y Fausta.

Hoy la hilandería ya no es una fábrica, sino un edificio residencial, resultado de una cuidada restauración que supo poner en valor y conservar los elementos característicos de la arquitectura industrial original: los grandes ventanales, la terraza y la majestuosa chimenea, aparentemente inclinada, que en realidad fue construida con una ligera inclinación calculada para resistir a los vientos.

El edificio ha sido reconocido como bien cultural de interés histórico y arquitectónico y está inscrito en el Sistema de Información Unificado para la Valorización del Patrimonio Cultural Italiano (S.I.U.P.I.).

Un ejemplo virtuoso de memoria histórica que aún vive en el paisaje y en la comunidad local.

Modalità di accesso

Solo esterno

Indirizzo

Via Prognolo, Illasi

Ultimo aggiornamento: 05/09/2025, 12:27

Quanto sono chiare le informazioni su questa pagina?

Grazie, il tuo parere ci aiuterà a migliorare il servizio!

Quali sono stati gli aspetti che hai preferito? 1/2
Dove hai incontrato le maggiori difficoltà?1/2
Vuoi aggiungere altri dettagli? 2/2
Inserire massimo 200 caratteri